L’Arcivescovo di Spoleto Norcia: Pio IX, antesignano dei soccorsi ai terremotati

Roma, 7 febbraio 2017  (Simona Cecilia Crociani Baglioni).

 Al Pontificale per impetrare la canonizzazione del Beato Pio IX, la cui fama di santità corre per il mondo, a san Lorenzo fuori le Mura, il 7 febbraio 2017, nel 139° del pio transito, l’Arcivescovo di Spoleto Norcia Mons. Renato Boccardo, consultore della Congregazione per le Cause dei Santi, eleva al suo predecessore su quella Cattedra, parole di toccante portata per le centinaia di fedeli, provenienti anche dall’estero, e autorità ecclesiastiche, civili, diplomatiche, accademiche, giudiziarie e militari presenti. 

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Roma, Basilica di S. Lorenzo al Verano, 7 febbraio 2017. 139° del Beato Pio IX. In foto, da dx: S.E. Mons. Renato Boccardo, S.E. Mons. Carlo Liberati, Conte Fernando Crociani Baglioni, Ministro Roberto Saccarello. (@Federico Carabetta)

Concelebravano S.E. Mons. Carlo Liberati Arcivescovo emerito Prelato del Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, Postulatore della Causa di Canonizzazione e S.E. Mons. Giuseppe Orlandoni Vescovo Emerito di Senigallia. Presente l’Arcivescovo-Prelato di Loreto S.E. Mons. Giovanni Tonucci.

Schierati gli ordini cavallereschi della Chiesa, con i primari e storici sodalizi cattolici romani, e delle diocesi che videro la vita e le opere del Pontefice santo.  Le Congregazioni religiose, tra cui i Francescani Cappuccini, i Missionari del Preziosissimo Sangue di San Gaspare del Bufalo, i Salesiani, etc., il clero romano secolare e regolare. Presente S.E. il Ven.Balì Fra’ Giacomo Dalla Torre Del Tempio di Sanguinetto Gran Priore di Roma del S.M.O. di Malta.

Un’omelia di alto spessore teologico e più vastamente spirituale, con la quale l’Arcivescovo Boccardo illustrava la biografia, la storia del Pontificato e le opere sante di Pio IX nel servizio a Dio, alla Chiesa e ai fratelli:

«Noi sappiamo che saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). Questa affermazione dell’apostolo Giovanni ci fa da guida per rileggere l’avventura umana e spirituale del Beato Pio IX. Infatti, mentre nel Vangelo si scandiscono le Beatitudini che raccolgono i lineamenti comuni ad ogni santo pur nella diversità delle loro fisionomie umane, sullo sfondo appare il quadro glorioso dell’Apocalisse dipinto dalla prima lettura.

È la raffigurazione ideale dell’assemblea di quanti hanno già raggiunto la meta entrando nella Gerusalemme della speranza e contemplano il volto di Dio, di coloro che noi oggi veneriamo come “santi”, cioè come totalmente a Lui consacrati. Ed è anche il “ritratto” del Beato Pontefice.

In questa scena dell’Apocalisse identifichiamo alcuni tratti caratteristici che definiscono la moltitudine dei giusti. Innanzitutto, tra loro ogni nazione, razza, popolo e lingua sono rappresentati: la santità non è prerogativa di una sola cultura né della sola religione biblica; la santità non è un’eccezione nell’esistenza cristiana né è appannaggio esclusivo dei soli santi del calendario.

I santi portano sulla fronte un sigillo: è il segno di un’appartenenza perché è con il sigillo che un sovrano attesta la sua volontà, la sua accettazione, il suo possesso. Essi, quindi, sono totalmente consacrati a Dio, sono – come dice Giovanni – «i figli di Dio».

I santi sono avvolti in vesti candide, il colore della pienezza perché sintesi di tutti gli altri colori. Ma questo candore è raggiunto attraverso una via strana: «Essi hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell’Agnello». Lo splendore è ottenuto attraverso il crogiuolo della sofferenza, della donazione di sé, è conquistato completando nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa, come afferma san Paolo (cf Col 1,24).

Nelle loro mani i santi stringono una palma, segno del trionfo e dell’acclamazione imperiale e, nella tradizione cristiana, segno del martirio. L’impegno rigoroso della testimonianza, la rinuncia a se stessi, e anche il dolore, non generano morte ma gloria, non producono fallimento ma vita e felicità. Ce lo ha ricordato con insistenza Papa Benedetto XVI, affermando che Gesù non toglie nulla ma dona tutto.

Certo, l’impegno umano è importante, ma nella santità decisivo è il lasciarsi condurre dalla grazia di Dio e dal suo amore. Ed allora, come faceva dire Georges  Bernanos a S. Giovanna d’Arco, «per essere santo quale vescovo non darebbe il suo anello, la mitra e il pastorale; quale cardinale non darebbe la sua porpora; quale pontefice il suo abito bianco, i suoi camerieri, le sue Guardie Svizzere, tutto il suo patrimonio temporale? Tutto il grande apparato di sapienza, di forza, di disciplina, di maestà e magnificenza della Chiesa è nulla se la santità non lo anima. Chi non vorrebbe avere la forza di correre questa incredibile avventura che è anche la sola avventura possibile? Chi ha compreso questo, anche per una sola volta, è entrato nel cuore della fede cattolica»[1].

Davanti al santo, infatti, c’è sempre la porta stretta e la via angusta di cui parla Gesù (cf Mt 7, 13-14). È questa la strada che il santo imbocca ed è questa la porta attraverso la quale egli passa, ignorando le comode vie spaziose dell’orgoglio e del piacere o le porte trionfali del successo e dell’ingiustizia. La santità esige un impegno serio e costante, servendo un solo Signore e vegliando come servi fedeli. Ai facili compromessi il santo oppone la coerenza, all’indifferenza l’attenzione, al grigiore dell’abitudine il fuoco della passione.

Eppure, questo aspetto non è né il primo né l’esclusivo. Infatti, come ci ha ricordato l’apostolo Giovanni, ogni uomo è sempre preceduto dall’amore di Dio: «Non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi». Si tratta di quel “grande amore” che riesce a far diventare noi, fragili e limitate creature, “figli di Dio”. Il canto che gli eletti elevano a Dio nella liturgia gloriosa del cielo riconosce che «la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello». C’è, quindi, un primato assoluto di Dio. Essere santi è accogliere un dono più che conquistarlo. Una volta accolto, il dono deve essere elargito ad altri: e qui scatta l’impegno dell’uomo, la risposta d’amore all’amore divino.

Nessuno si può “fare” o autoproclamare santo. La santità nasce da un dialogo efficace in cui la prima battuta, quella che rompe il silenzio e crea la bellezza del discorso, è pronunziata da Dio. La beatitudine dilaga nel nostro cuore perché Egli ce la infonde. A questo punto, però, è importante rispondere, anzi è decisivo dire il sì dell’adesione piena e totale. Si schiude, così, con questo impegno personale, il dialogo vivo con il Dio santo.  All’amore si risponde amando, amando Dio e i fratelli.

Lo aveva capito bene l’Arcivescovo Mastai Ferretti, giunto a Spoleto nel 1827, a soli 35 anni di età. Si dedicò con passione al ministero pastorale, promosse la disciplina religiosa e dimostrò grande carità verso i poveri, arrivando ad impegnare i propri mobili per aiutare i più bisognosi. Durante l’insurrezione del 1831 fu nominato Delegato straordinario per Spoleto e Rieti, e con abile mediazione salvò la città da un inutile spargimento di sangue: convinse i generali pontifici a non aprire il fuoco e ai rivoltosi concesse, alla deposizione delle armi, soldi e passaporti. Il 13 gennaio 1832 la città subì un forte terremoto: l’Arcivescovo diresse subito gli aiuti, organizzando un piano specifico e recandosi personalmente sui luoghi del disastro. E si impegnò concretamente per la ricostruzione, ottenendo fondi da Papa Gregorio XVI. Divenuto Sommo Pontefice, quando i Canonici del Duomo si recavano a Roma, li riceveva in giornata e li tratteneva a pranzo per avere notizie delle persone conosciute a Spoleto, suscitando le critiche dei prelati di Corte e le rimostranze dei Vescovi delle grandi diocesi che dovevano chiedere udienza con largo anticipo.

L’esempio più bello della sua umanità e paternità sono i rapporti che mantenne con don Sante Valle: il Mastai lo aveva sostenuto economicamente negli studi in seminario con grande discrezione e rimase con lui in fraterna amicizia. Quando – da Papa – venne a Spoleto, ebbero un lungo colloquio: «Don Sante, fai attenzione, che mi hanno raccontato di te cose non tanto belle». La risposta del prete fu: «Santità, sapissi che m’honno dittu de te, ma io che te conosco no je daco retta! Fa comme me».

Il Beato Pio IX, accogliendo docilmente l’opera della grazia di Dio, è stato capace di vivere in modo esemplare la vita cristiana. Ci affidiamo alla sua intercessione presso l’Altissimo, affinché ottenga anche a noi quella “sapienza del cuore” e quell’amore appassionato per Dio e per gli uomini che hanno reso bella e feconda la sua esistenza terrena e mantengono vivo, in benedizione, il suo ricordo.

[1] cf L’eretica e Santa Giovanna, Reggio Emilia 1978, pp. 82-90.

(Omelia di S.E. l’Arcivescovo di Spoleto Norcia Mons. Renato Boccardo, consultore della Congregazione per le Cause dei Santi)

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Al termine, nella cripta dinanzi all’urna, l’Assemblea intonava con alta edificazione l’inno alla Santa Vergine, che Pio IX proclamò come Dogma dell’Immacolata Concezione, “Tota pulchra es Maria“.

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.
Ad Dominum Iesum Christum.

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Foto e video del Pontificale concelebrato nella Basilica di San Lorenzo fuori le mura il 7 febbraio 2017.

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Medaglia Benemerenti Pontifica di Pio IX

Medaglia commemorativa dell'Istituto di Studi Storici Beato Pio IX

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